di Marco D’Imperio

Siamo ormai sul finire della stagione e molti apicoltori neofiti o aziende con poca esperienza nei trattamenti ci chiamano per avere consigli su quali trattamenti e strategie utilizzare per combattere la varroa. Premesso che una ricetta unica non esiste e che le variabili da considerare sono tantissime, proviamo ugualmente a dare qualche indicazione; lo facciamo, questa volta, fornendo alcuni criteri in base ai quali l’apicoltore può escludere una serie di trattamenti fino a trovare quello che fa al caso suo.

Il ventaglio dei trattamenti a disposizione è ormai ampio e, per una migliore comprensione di quanto riportato nel presente articolo, consigliamo di scaricare e leggere la tabella degli acaricidi autorizzati.

Va innanzitutto detto che il trattamento, come lo intendono i professionisti oggi, non va inteso come un unico momento, ma va invece collocato e programmato all’interno di una strategia più ampia che abbraccia l’intera stagione e che quindi comprende:

  • trattamenti di contenimento (anche detti “tamponi”) tra aprile e luglio;
  • trattamento di fine stagione che di solito si colloca tra fine luglio ed inizio di settembre;
  • trattamento invernale che tende a considerarsi il Trattamento (con la “T” maiuscola) ovvero quello che, tra novembre e febbraio, mette al sicuro le api e che punta ad avere efficacia massima.

Vediamo dunque quli sono queasti creriteri che ci porteranno ad individuare il trattamento ideale:

  1. BIO /no BIO: se si è BIO certificati o lo si è per scelta, vanno esclusi tutti i trattamenti
    sintetici (Apitraz, Apivar, Apistan, Polyvar).
  2. Livello di infestazione delle famiglie: il livello di infestazione può essere misurato con lo ZAV
    o con il VEC; importantissimo è anche monitorare le cadute sui fondi a seguito dei trattamenti; quest’ultima abitudine è poco in voga nell’ultimo periodo ma, a nostro avviso, una volta fatto il trattamento, sarebbe
    stupido non farsi un’idea del livello di infestazione e/o monitorare l’efficacia del trattamento stesso; se non avete tempo, magari aprite qualche fondo a campione, ma non lasciatevi sfuggire l’occasione!

    NB1: occhio a non commettere errori di valutazione quando si valutano o le cadute sui fondi: se le cadute sono poche potrebbe anche essere che l’infestazione è bassa, ma anche che il trattamento non ha funzionato; se invece le cadute sono molte (es. 50-1000), di certo l’infestazione è elevata ed il trattamento ha funzionato.

    NB2: all’interno dell’alveare vi sono altri sintomi che devono far alzare il livello di allerta: ali sfrangiate-deformi; varroe visibili ad occhio nudo, covata disomogenea, ecc.; in questi casi, anticipare i trattamenti è sempre buona cosa.

    NB3: per i trattamenti a base di formico andrebbe rivisto il criterio di valutazione del livello di infestazione dato che il principio attivo uccide anche molte varroe sotto opercolo o semplicemente le rende sterili.

  3. Livelli di efficacia dei trattamenti: allo stato attuale delle cose, è difficile ragionare sull’efficacia di un trattamento. Di certo i livelli di efficacia a cui si faceva riferimento negli anni passati (es. 90-95%) sono ormai un miraggio e l’ambizione di arrivare all’eradicazione dell’acaro è stata ormai abbandonata da tutti. Quello che si fa oggi è invece un buon piano di contenimento su tutta la stagione che prevede diversi trattamenti. Si può poi aggiungere che un gocciolato/sublimato a base di acido ossalico, in assenza di covata, ha un’efficacia alta ed è dunque il trattamento sul quale si orientano tutti i professionisti; anche il formico, se fatto bene, è molto efficace; per gli altri trattamenti l’efficacia è funzione della farmacoresistenza e di altre variabili che non è il caso di approfondire in questa sede.
  4. Costi dei trattamenti: si può passare da 0,6 €/alveare per i trattamenti a base di acido ossalico, passando peri i 6,0 €/alveare per i trattamenti a base di timolo, per i 7,10 €/alveare per il Polyvar, fino ad arrivare ai quasi 10 €/alveare per il Varterminator.
  5. Possibilità di fare il sublimato invernale: è orami il trattamento al quale tutti affidano le sorti di un’intera stagione: un buon trattamento invernale con acido ossalico sublimato in assenza di covata può, secondo alcuni, consentire di andare sereni fino al trattamento estivo; per stare più tranquilli, uno o due trattamenti tamponi nel corso della stagione produttiva, possono aiutare. Va in questo caso detto che l’ingabbio invernale può anche essere prolungato fino a 2 mesi con diversi scopi a cui faremo cenno dopo.
  6. Grandezza delle famiglie: il trattamento tipo è riferito ad alveari strutturati con 8 favi (1-2 di scorte e 6-7 di covata); se si hanno alveari con 10-12 favi (cosa ormai rara) occorre valutare se raddoppiare le dosi; al contrario, se si hanno alveari con 5-6 favi, occorre valutare se dimezzare le dosi.
  7. Trattamenti in anni precedenti (farmacoresistenza): la regola migliore è quella di alternare i trattamenti nell’arco delle annate e, se possibile, tornare ad usare lo stesso principio attivo dopo 3-4 anni. Questo perché l’uso ripetuto di uno stesso trattamento quasi certamente crea una popolazione di varroa resistente e dunque il trattamento con lo stesso principio attivo diventa via via meno efficace. Gli acidi organici (ossalico e formico) sono meno soggetti a tali problematiche anche se l’argomento è dibattuto ed oggetto di approfondimento.
  8. Praticità d’uso ed esperienza dell’apicoltore: alcuni trattamenti (es. Apivar, Apitraz, Apistan, ecc.) sono facili e veloci da applicare; altri (es. formico o Apilife var) richiedono maggiore dimestichezza; alcuni (es. formico) richiedono l’uso di DPI perché sono urticanti/ustionanti; altri ancora (es. formico o ossalico sublimato) richiedono l’uso di erogatori appositi oppure di sublimatori con ulteriori costi da mettere in conto e da spalmare nell’arco di più stagioni; alcuni richiedono competenze chimiche e capacità di fare diluizioni (es. ossalico e acido formico); Alcuni erogatori (es. Nassenheider) sono composti da molti pezzi che possono facilmente essere smarriti e/o richiedono spazi in magazzino per la loro conservazione.
  9. Temperature di esercizio: alcuni trattamenti (es.gli evaporanti: Apilife var, Apiguard, Thymovar, MAQS, Varterminator, Apifor60) necessitano, per una maggiore efficacia, di temperature relativamente basse e
    costanti; temperature troppo alte (>35 °C) causano evaporazioni violente che possono essere dannose; al contrario, temperature troppo basse  rellentano-arrestano l’evaporazione e dunque rendono inefficace il trattamento. Anche l’umidità gioca un ruolo fondamentale: umidità relative troppo basse causano veloci evaporazioni mentre umidità relative troppo alte rallentano eccessivamente l’evaporazione. In ogni caso, è buona norma con i trattamenti evaporanti, cominciare la somministrazione nel tardo pomeriggio così da concedere alle api un primo periodo di adattamento con temperature più miti.
  10. Durata dei trattamenti: alcuni trattamenti sono definiti a lento rilascio (es. Apivar, Apitrax, Apistan o Polyvar) e esplicano il loro effetto nell’arco di 30-50 giorni. Se l’infestazione è elevata, questi trattamenti potrebbero non fare in tempo ad esplicare il loro effetto e dunque le famiglie potrebbero collassare. I trattamenti a lento rilascio sono molto utili se si vuole scongiurare la reinfestazione o si ha un’infestazione bassa; essi sono spesso utilizzati in accoppiata (frequente è l’accoppiata con ossalico o formico); altri sono definiti “a flash” perché agiscono in poco tempo e dunque possono salvare le famiglie in caso di infestazioni elevate.
  11. Presenza di altri apiari nelle vicinanze: la presenza di altri apiari nelle vicinanze, soprattutto se condotti da hobbisti con scarsa esperienza, deve fare alzare il livello di allerta perché la reinfestazione ad opera di api cariche di varroe provenienti da tali apiari può vanificare gli sforzi di un’itera stagione. In tali circostanze, è sempre meglio dispensare buoni consigli ed utilizzare la carta del “dialogo”. Nei casi migliori, sarebbe opportuno concordare epoche e tipologie di trattamenti così da aumentare l’efficacia di entrambi. In tale ottica, le associazioni hanno il compito di coordinare e formare gli apicoltori.
  12. Presenza di una camera di evaporazione: negli sciami in genere non c’è una camera per l’evaporazione (non hanno il coprifavo) e ciò impedisce l’uso di alcuni evaporanti; a volte si può ovviare con l’uso di melari per sciami. Nelle arnie Dadant, il rovesciamento del coprifavo consente l’ottenimento di un piccolo spazio al di sopra del nido che consente di posizionare i trattamenti e di avere un piccolo volume d’aria per l’evaporazione. Per il Nassenheider “orizzontale” non è sufficiente il coprifavo ribaltato ma serve una ulteriore cornice di 3-4 cm o in alternativa un melario vuoto.
  13. Tipo di arnia: alcune arnie moderne hanno i fondi rimovibili e quindi consentono il monitoraggio delle cadute; altre (tipo circellesi) hanno il fondo chiuso (tutto in legno) e dunque non consento tale monitoraggio; inoltre, la presenza di un fondo a rete consente un’opportuna ventilazione in casi particolari mentre l’assenza della rete (fondo chiuso) consente una maggiore tenuta nel caso di trattamenti evaporanti.
  14. Presenza/assenza di melari: in alcuni momenti della stagione, possono essere necessari dei trattamenti anche su alveari con melario; alcuni trattamenti si possono eseguire anche in presenza di melari (quelli in cui il tempo di latenza è pari a 0); il consiglio è tuttavia quello di evitare trattamenti in presenza di melari. Si può fare una rara eccezione nel caso del gocciolato quando l’urgenza lo richiede.
  15. Modalità di gestione aziendale: aziende piccole possono recarsi frequentemente in apiario e verificare o cambiare i trattamenti. Chi ha molti alveari (>400) difficilmente può tornare in apiario prima di 10 gg e dunque i trattamenti vanno scelti anche in base a tali dinamiche.
  16. Disponibilità di regine: alcuni trattamenti potrebbero portare ad orfanità che vanno messe in conto; aziende piccole, che non hanno sciami di rimonta o “scorte di regine”, potrebbero andare in difficoltà in determinati periodi dell’anno quando non si allevano/vendono più regine (es. agosto-settembre).
  17. Clima: le zone vicino alla costa difficilmente hanno, in inverno, dei blocchi di covata naturali; in tali casi si opta per il blocco artificiale (uso di gabbie) oppure si devono fare altre scelte. Inoltre, in tali zone le temperature estive sono sempre alte e dunque l’uso degli evaporanti è spesso difficile. Anche l’uso dell’acido ossalico gocciolato, sebbene sia un trattamento largamente utilizzato, in giornate fredde ed umide può creare problemi perché le api bagnate potrebbero non asciugarsi e dunque morire per disidratazione. 
  18. Blocchi di covata: possono essere naturali, indotti (indotti dall’alimentazione) o artificiali (ingabbio estivo o invernale). I blocchi di covata sono importantissimi per aumentare l’efficacia del trattamento perché la varroa è tutta in fase foretica (non sotto opercolo) e dunque esposta al trattamento. In genere il blocco di covata si genera in estate (con l’ingabbio) o in inverno (naturale/indotto/ingabbio).

    NB1: i blocchi di cavata naturali potrebbero non arrivare contemporaneamente per tutte le famiglie di un apiario quindi occorre ripetere i trattamenti ogni settimana (per 2-3 volte) così da aumentare l’efficacia. Anche lo sforchettamento di piccole roselline di covata potrebbe essere utile per riallineare le tempistiche degli alveari di un apiario. Nel caso di ingabbi, il canonico periodo di 24 giorni necessario allo sfarfallamento di tutte le api compresi i fuchi, può essere opportunamente ridotto fino a 16 giorni, giocando sul fatto che le uova deposte dalla regina impiegheranno comunque 8-9 giorni per essere opercolate (16+8= 24); tuttavia, in tali casi, la finestra per il trattamento si riduce ad un solo giorno (8 giorni dopo lo sgabbio). Con ingabbi un po’ più lunghi (18-20 gg) si ha una finestra più ampia per il trattamento. Nel caso si decidesse per la liberazione anticipata della regina, occorre considerare che si dovrà tornare in apiario più volte. Inoltre è utile tenere a mente che i tempi di sfarfallamento forniti dai testi sono tempi medi e diversi fattori possono allungare o accorciare tali tempi anche di un giorno. Infine, occorre considerare anche le numerose tipologie di gabbie disponibili (cinese, Menna, telaino da melario, apertura a libretto, apertura con tappo, ecc.) le quali possono influire sull’efficacia e sui tempi operativi.

  19. Possibilità di fare trattamenti mirarti sulle famiglie con più alta infestazione: dopo un primo giro di trattamenti, è utile osservare i fondi ed individuare le famiglie cosiddette “punte” ovvero famiglie con più
    alta infestazione. Potrebbe essere opportuno intervenire con un secondo trattamento solo su queste ultime per esempio con un trattamento più leggero e/o a lento rilascio.
  20. Presenza di predatori: in alcuni momenti dell’anno e soprattutto in alcune zone (es. lungo la costa), le famiglie sono sottoposte a continui attacchi ad opera di vespe e calabroni e dunque in tali situazioni, intervenire con trattamenti contro la varroa potrebbe essere rischioso.
  21. Quantità di scorte: i trattamenti sono sempre momenti stressanti per le famiglie che in genere consumano più del dovuto; in tali condizioni può essere opportuno, sul finire del trattamento o ad inizio dello stesso, provvedere ad un’alimentazione di soccorso per ridare vitalità alla famiglia; anche la possibilità di avere raccolti anticipati (es. agrumi, rosmarino, ecc.) o posticipati (es. edera o erba medica) può orientare la scelta su un trattamento piuttosto che su un altro. Anche l’uso di integratori, può, in determinati momenti, fare la differenza.
  22. Integrazione tra trattamenti e biotecniche: in alcune situazioni le famiglie possono essere salvate con l’asportazione completa di covata; alcune aziende praticano tali tecniche per creare nuovi sciami a fine stagione: le famiglie con covata vengono spostate in altri apiari e trattate successivamente, mentre quelle prive di covata vengono trattate immediatamente. Anche il favo a fuco può essere inteso come un metodo per contenere la varroa nell’arco della stagione produttiva.
  23. Trattamenti estivi/invernali o trattamenti tampone: avere a mente cosa sia un trattamento tampone e cosa è invece un trattamento estivo (di fine stagione) o invernale è una buona cosa per calibrare le aspettative; i trattamenti tampone si eseguono in genere nel corso della stagione produttiva, a scavalco fra le fioriture, per contenere l’aumento della popolazione della varroa; essi non sono risolutivi e non hanno in genere un’alta efficacia ma possono contribuire alla sopravvivenza delle famiglie. I trattamenti di fine stagione e soprattutto quelli invernali mirano invece ad un’alta efficacia (che in passato doveva essere del 95% oggi è certamente ridotta). In ogni caso occorre partire dal presupposto che nessun trattamento è in grado di eliminare il 100% delle varroe ed anche se ciò accadesse, la reinfestazione vanificherebbe i nostri sforzi.
  24. Stesso principio attivo, diverse modalità di somministrazione: alcuni principi attivi possono essere somministrati in con diverse modalità. È il caso, ad esempio, dell’acido formico il quale può essere somministrato in formulazioni già pronte all’uso e relativamente pratiche da applicare (MAQS e Varterminator) oppure nella sua forma più classica ovvero liquida (Apifor 60) ed in questo caso la somministrazione richiede l’uso di evaporatori di varia fattura e praticità (es. erogatore “dei poveri”, Nassenheider, Aspronovar, metodo Amrine, ecc.).
  25. Presenza di altre patologie concomitanti: il vero problema dell’apicoltura moderna non è tanto la varroa ma le patologie che essa veicola (la varroa è un formidabile vettore di virus e batteri). Contenere la varroa significa anche contenere tali patologie. Alcuni trattamenti che inducono o che si basano sul blocco di covata, hanno, tra l’altro, il vantaggio di costringere le api a pulire i nidi e dunque abbassano il carico virale/batterico all’interno dell’alveare. Dunque su famiglie con covata molto irregolare e con evidenti segni di virosi può essere opportuno pensare ad un blocco di covata con concomitante sostituzione della cera vecchia. Il reset della famiglia potrebbe non essere sufficiente ma di certo aiuta.

Raccomandazioni finali

  • Il trattamento va certamente fatto e, quando si ha il dubbio tra il NON farlo ed il farlo, è opportuno optare per la seconda scelta. Tuttavia va ricordato che se un trattamento è dannoso per la varroa, di certo non è “acqua fresca” per le api. Una mortalità di api (alta o bassa che sia), c’è sempre! Va poi messo in conto uno squilibrio delle famiglie e un aumento dei consumi o riduzione dei raccolti (per tempi più o meno brevi). Dunque le scelte vanno sempre ponderate.
  • Ricordatevi di compilare il registro trattamenti!