Un’analisi sulle attuali metodologie utilizzate per testare i farmaci contro la varroa ed un’occasione per proporre spunti di riflessione

di Marco D’Imperio

Scopo del presente articolo è quello di proporre spunti di riflessione in merito alle prove di efficacia dei trattamenti contro la varroa. L’articolo potrebbe sembrare ostico ed è forse più indicato per i tecnici che in molti ci seguono sul sito AP.AS. Tuttavia, anche chi è a digiuno di test di efficacia e di metodi di analisi dei dati può cogliere spunti utili al proprio lavoro.

La valutazione dell’efficacia dei trattamenti contro la varroa è una delle tematiche che da tempo assilla i tecnici e gli apicoltori. Sapere se un farmaco è efficace contro il temuto acaro è fondamentale per capire se investire tempo e denaro su quel determinato trattamento. Tuttavia, non è semplice stabilire se quel trattamento è efficace o meno. Ad oggi, la metodica più diffusa è quella che prevede l’inserimento del farmaco da testare nell’arnia e nel conteggio delle varroe cadute per circa 5-15 giorni; successivamente, si rimuovono gli eventuali residui del farmaco e, dopo un tempo variabile di 5-10 giorni, si inserisce quello che viene da tutti definito “trattamento di controllo” che, nella gran parte dei casi, viene effettuato con Apivar (amitrax); infine si contano, per un tempo che spesso non viene nemmeno riportato ma che possiamo presupporre di 5-15 giorni, le varroe cadute per effetto del trattamento di controllo.

Ora, illustrato per sommi capi quello che è il metodo, proviamo a fare le pulci a tale protocollo per capire se ci sono punti deboli e punti potenzialmente migliorabili.

In primo luogo non è stabilita la tempistica del conteggio (nemmeno l’European Medicines Agency -di seguito EMA-, nelle linee guida per il controllo della varroa del 2010 [1], lo fa). È quindi sempre discrezione del tecnico o del ricercatore che, con un minimo di buon senso, cerca di stabilire quale sia il momento migliore per fermare il conteggio delle varroe cadute sul fondo. Tuttavia il buon senso, seppur utile, non ci permette di avere dati confrontabili fra studi differenti praticati in tempi diversi, in luoghi diversi e da tecnici diversi. Certamente possiamo confrontare i risultati all’interno dello stesso studio perché i tempi sono esattamente gli stessi per tutti i trattamenti indagati e le condizioni ambientali sono identiche. Ma se volessimo confrontare un altro studio, in cui il tecnico ha deciso di fermare il conteggio relativo al trattamento al 13° giorno anziché al 15°, commetteremmo certamente un errore.

Proviamo a fare due conti partendo da dati ipotetici che hanno la sola funzione di illustrare i possibili scenari.
Nella tabella 1 vengono illustrati tre ipotetici scenari in funzione di quanto dura il conteggio della caduta sul fondo per effetto del trattamento. Nel primo caso (ipotesi A) il conteggio viene prolungato fino a 20 giorni dall’inizio del trattamento; nel secondo caso (ipotesi B) il conteggio viene interrotto al quindicesimo giorno; infine, nell’ultimo caso (ipotesi C) il conteggio si interrompe al decimo giorno. Supponendo che il trattamento di controllo sia lo stesso per tutte e tre le ipotesi, avremo dei risultati di efficacia variabili da un minimo dell’89% ad un massimo del 91%. D’accordo che la forbice non è poi così ampia (89-91%) e che quindi, tutto sommato, potremmo essere soddisfatti in tutti e tre i casi, ma dobbiamo ricordare che, nel caso di prodotti a base di molecole naturali (Apiguard, etc.) la soglia ritenuta accettabile è proprio del 90% e quindi, nel primo caso il trattamento sarebbe accettabile, nel secondo sarebbe al limite e nel terzo non sarebbe accettabile. E tale discriminazione non la farebbe il trattamento stesso ma bensì l’operatore che sceglie di prolungare i conteggi più o meno a lungo.

Ora proviamo a fare un’altra simulazione.
Nella tabella 2 sono riportati i dati dei conteggi in cui la tempistica del trattamento da testare rimane la stessa mentre varia la tempistica del conteggio del trattamento di controllo. Anche in questo caso abbiamo risultati variabili (una forbice più ampia: 88-93%) in funzione delle scelte che l’operatore fa.

Se poi proviamo ad immaginare una simulazione incrociata in cui a variare siano sia i tempi del conteggio del trattamento che quelli del controllo, è facile immaginare come la variabilità dei risultati sia molto più ampia ed imprevedibile e ciò, come già detto, rende difficili i confronti fra le diverse prove.

La prima soluzione potrebbe essere quella di fissare un tempo per tutti uguale (es. 10 giorni) dopo il quale interrompere i conteggi. Tuttavia nemmeno tale soluzione è auspicabile per diverse ragioni: ogni farmaco/trattamento necessita di un determinato tempo lungo il quale esplicare il suo effetto e quindi per ciascun farmaco/trattamento dovremmo avere una tempistica stabilita. Ma lo stesso farmaco, messo in condizioni ambientali differenti di temperatura, umidità etc., che condizionano i processi chimico-fisici alla base di molti trattamenti, può esplicare la sua azione più o meno velocemente e quindi nemmeno l’ipotesi di stabilire una tempistica precisa per ciascun trattamento sarebbe corretta.
La soluzione più semplice potrebbe essere quella di interrompere il conteggio quando il farmaco termina il suo effetto e la caduta successiva è solo “caduta naturale”. Ma come si fa a capire quado la caduta è dovuta al trattamento o quando invece subentra la caduta naturale? È praticamente impossibile con i protocolli attualmente in uso. Per questo motivo si può dedurre che tale metodologia tende a sopravvalutare l’efficacia del trattamento perché non tiene conto della mortalità naturale delle varroe che invece viene conteggiata come varroa caduta in seguito al trattamento o al controllo.

Ai dubbi sin qui esposti, si sommano le perplessità legate al cosiddetto trattamento di controllo.
In primo luogo si deve prendere in considerazione la farmaco resistenza generata dall’Apivar che può essere considerata trascurabile solo se sulle famiglie oggetto della prova non è stato utilizzato lo stesso farmaco nei precedenti 5-7 anni. Diversamente, l’efficacia della molecola cala sensibilmente e quindi si introduce una fonte di errore non del tutto stimabile.
Occorre poi tener presente che, in base alle indicazioni date dalla ditta distributrice ed in base a recenti studi [2], affinché l’amitrax esplichi il suo effetto, occorrono 70 giorni. Ma quanti realmente contano la varroa caduta per effetto del trattamento di controllo nell’arco di 70 giorni? C’è da sperare che dopo pochi giorni non cada più varroa perché l’intera popolazione dell’acaro è stata sterminata. In alcuni casi ciò avviene; ma se non dovesse accadere?

Infine, tale tipo di metodologia si basa sull’assunto che il trattamento di controllo fatto in coda al trattamento da testare sia in grado di far cadere tutta la varroa residua rimasta. Ma se ciò fosse vero allora non avremmo bisogno di testare altri farmaci perché avremmo già la soluzione ai nostri problemi ovvero l’Apivar ha un’efficacia pari al 100%.

In aggiunta alle considerazioni già fatte va detto che, la conta della caduta dovuta al controllo fatta successivamente al trattamento, se da un lato mostra il vantaggio legato al fatto che il controllo è eseguito sulla stessa famiglia e quindi è possibile utilizzare una serie di test statistici di grossa potenza (test su misure ripetute), dall’altro mostra il limite legato al fatto che la varroa ha un suo ciclo biologico e non rimane indifferente, ma si riproduce e varia la sua popolazione. Già dopo 17 giorni, la varroa presente nella covata femminile è aumentata di un fattore pari ad 1,3 e quella presente nella covata maschile è aumentata di un fattore 2,6 [3]. Quindi, spostare il controllo in una fase temporale differente rispetto a quella in cui è stato effettuato il trattamento introduce una seppur minima fonte di errore.

Quali potrebbero essere gli accorgimenti che si possono utilizzare per migliorare la metodologia?
La più semplice delle soluzioni sarebbe quella di far riferimento ad un controllo esterno ovvero monitorare la caduta naturale anche su un determinato numero di famiglie non trattate. Il controllo esterno permetterebbe di standardizzare nel tempo i valori ottenuti per effetto dei trattamenti rispetto a quelli che si avrebbero senza gli stessi. In tal modo, oltre alla classica percentuale di efficacia calcolata con la formula di Abbot (formula [A] figura 1), potremmo avere un ulteriore valore di efficacia, istante per istante, rapportato al controllo non trattato (formula [B] figura 1). Quest’ultimo valore andrebbe letto come la varroa che effettivamente viene fatta cadere dal trattamento ovvero il valore sottratto della varroa caduta naturalmente.

Inoltre, assumendo che la varroa caduta nelle famiglie non trattate sia esclusivamente quella dovuta alla caduta naturale, potrebbe essere preso in considerazione proprio tale valore per stabilire quando fermarsi con i conteggi nelle famiglie trattate. In sostanza, quando i valori di varroa caduta nelle famiglie trattate raggiungono quelli delle famiglie di controllo, vuol dire che l’effetto del trattamento si è esaurito e di conseguenza non è più necessario procedere con i conteggi. Basandosi sui valori percentuali dell’efficacia netta, ci si dovrebbe fermare quando si ottiene il primo valore negativo. Per essere più rigorosi, ci si potrebbe fermare quando si ottengono due valori negativi consecutivi; in questo modo ci si svincolerebbe dalla variabilità dovuta agli eventi causali (per esempio le variabilità dei fattori metereologici). In quest’ultimo caso, il secondo conteggio dovrebbe avvenire a poca distanza dal primo (per esempio a 2 giorni) così da evitare che le misure si prolunghino troppo.
Va precisato che i valori di efficacia netta non si potrebbero ottenere per la singola famiglia ma si otterrebbero dai valori medi dei gruppi (la media delle varroe cadute nelle famiglie del gruppo di controllo e la media delle varroe cadute nelle famiglie del gruppo sottoposto a trattamento). Per questo motivo è fondamentale avere un congruo numero di famiglie per ciascun gruppo e valori di infestazioni omogenei all’inizio della prova per tutte le famiglie.

L’uso di un gruppo di controllo non trattato permetterebbe di avere un altro prezioso parametro per valutare l’efficacia di un trattamento. L’efficacia, a questo punto, non verrebbe misurata solo dal numero di varroe cadute ma anche dal tempo necessario per farlo. In linea di massima sarebbe opportuno prolungare il trattamento sin quando questo fa cadere più varroe del controllo. Tuttavia, stabilito il principio generale, in alcune circostanze potremmo avere la necessità di un prodotto che esplichi il suo effetto rapidamente, magari perché dobbiamo inserire velocemente i melari o perché l’infestazione è elevata, mentre in altre circostanze potremmo preferire un’efficacia prolungata nel tempo.

D’altra parte è la stessa EMA che più volte, all’interno delle linee guida del 2010, auspica il confronto dei dati ottenuti (cadute, mortalità, etc.) con delle famiglie di controllo. In effetti, per il calcolo dell’efficacia secondo la nota formula di Abbott, l’EMA parla di “follow-up treatment” che non è esattamente un trattamento di controllo come erroneamente viene detto da molti addetti ai lavori.

Va poi aggiunto che l’EMA introduce un altro concetto che è fondamentale in tali studi: il concetto di trattamento placebo anche detto “BIANCO” nel quale si fa un trattamento in cui, al posto di utilizzare la molecola attiva da testare, se ne usa una neutra ovvero si evita di aggiungere la molecola in questione. Ad esempio, nel caso volessimo testare un trattamento a base di acido ossalico il quale viene disciolto in una soluzione di acqua e zucchero (1:1), nel trattamento BIANCO associato dovremmo usare, su altre famiglie, solamente acqua e zucchero nelle medesime proporzioni, senza aggiungere l’acido ossalico. Tali trattamenti si fanno perché non si può escludere che l’eventuale caduta non possa essere causata dai prodotti al contorno (dagli eccipienti) e quindi in questo caso dallo sciroppo; attenzione, il BIANCO non va confuso con il CONTROLLO che invece prevede l’assenza totale di trattamento su famiglie diverse da quelle trattate.

L’uso del gruppo di controllo (famiglie non trattate) non è però la soluzione a tutti i mali in quanto presenta l’indubbio limite legato al fatto che potrebbe portare le famiglie al collasso (famiglie sacrificate), cosa che non tutti sono disposti a fare; inoltre presenta lo svantaggio di non consentire la stima del valore di varroa residua. Tale valore, come da indicazioni recenti, assume un’importanza sempre più rilevante, forse ancor di più dell’efficacia di abbattimento perché la varroa cresce in maniera esponenziale e quindi, un conto è presentarsi alla stagione produttiva partendo da 10 varroe, un conto partendo da 100 pur avendo avuto in entrambi i trattamenti invernali un’efficacia del 95%. In effetti, è stato calcolato [4] che, partendo da valori invernali di varroa residua inferiori a 50 ed effettuando gli opportuni trattamenti primaverili, si ottengono famiglie sane in grado di assicurare una discreta produzione. Tale valore, tuttavia, sarebbe stimabile con il classico protocollo che prevede l’uso di Apivar dopo il trattamento da testare, ammesso che si prolunghi il conteggio fino ad ottenere valori di caduta pari a zero.

È quindi evidente che una più precisa ed esaustiva valutazione dell’efficacia di un trattamento derivi dell’integrazione delle metodologie esposte e quindi dall’esecuzione del classico monitoraggio con trattamento eseguito con Apivar, affiancato da un gruppo di controllo esterno che consente una migliore gestione dei tempi.

È importante, inoltre, cominciare a standardizzare i dati della varroa caduta esprimendoli non solo come valori assoluti o cumulati, ma anche come valori medi di caduta giornaliera. A tal proposito va ricordato che alcuni recenti studi [3-4] usano il parametro della caduta media giornaliera come ulteriore criterio per valutare la buona riuscita del trattamento invernale; se dopo il trattamento invernale si ottiene un valore medio di caduta pari ad una varroa al giorno, allora l’efficacia è accettabile e le famiglie, quasi certamente, arriveranno in buone condizioni di salute al raccolto successivo. Il valore di una varroa al giorno è tuttavia strettamente legato alla zona e quindi questa soglia andrebbe diversificata di zona in zona (ad esempio basandosi sulle 6 zone ottenute dalla classificazione climatica dei comuni italiani introdotta dal D.P.R. n. 412 del 1993).

Anche la fase della presentazione dei risultati assume un’importanza fondamentale perché se i dati sono presentati in maniera chiara e completa è possibile fare dei confronti oggettivi e diversificare gli eventuali parametri all’interno di un territorio vasto ed eterogeneo quale è l’Italia.

A questo proposito sarebbe utile introdurre, anche all’interno di articoli dal taglio divulgativo, un piccolo paragrafo denominato “materiali e metodi” nel quale vengono sempre date in maniera coincisa alcune indicazioni fondamentali quali:

  • modalità di preparazione del trattamento e concentrazioni finali;
  • dosi e modalità di somministrazione;
  • temperature ed umidità media durante tutto l’arco della prova, segnalando eventuali picchi che si discostano dalle medie di un valore superiore a due deviazioni standard;
  • condizioni climatiche della zona (6 zone climatiche stabilite dal D.P.R. 412/1993);
  • vegetazione tipo della zona;
  • produzioni medie, a fine stagione, di ciascun gruppo di famiglie inserito nella prova.

Per finire vanno spese due parole sui criteri che si utilizzano per inserire le famiglie all’interno delle sperimentazioni partendo dal presupposto che:

  • gruppi composti da pochissime famiglie (es. 4-5) hanno poco senso dal punto di vista statistico;
  • nel caso i gruppi fossero composti da poche famiglie (10-15), è meglio selezionare per la sperimentazione famiglie omogenee sia in termini di forza che di livello di infestazione iniziale;
  • è bene creare gruppi con numero di famiglie paragonabili per evitare distorsioni nella successiva analisi statistica.

È quindi ovvio che qualsiasi parametro utilizzato per valutare la forza ed il livello di infestazione è utile a patto che questo venga poi testato con un’analisi della varianza in base alla quale, all’inizio dello studio, non ci devono essere differenze statisticamente significative fra i gruppi. In tal senso si sta dimostrando sempre più efficace il metodo dello zucchero a velo come parametro per stimare il livello di infestazione. Tuttavia, tale parametro, anche in base alle indicazioni date dagli ideatori [5], va utilizzato nella maniera corretta, soprattutto se deve essere oggetto di un’analisi statistica. I metodi di misura, infatti, stabiliscono che, se la grandezza da misurare non è divisibile, e questo è il nostro caso perché non possiamo contare una varroa e mezza, allora i risultati vanno espressi con valori interi anche quando diamo le percentuali. Quindi non ha senso presentare valori di infestazione di 0,03% o  5,4% ma è corretto invece esprimere i risultati come 0% e 5%. È come se misurassimo una lunghezza con un righello che ha una scala graduata al centimetro ed esprimessimo i risultati al millimetro.

BIBLIOGRAFIA
[1] Guideline on veterinary medicinal products controlling Varroa destructor parasitosis in bees; European Medicines Agency; 2011.
[2] Vandame J., Ordonneau D., Barbançon J.M.; Tests efficacité 2011: Médicaments AMM de lute contre varroa; LSA; 256, 1-10; 2013.
[3] Contessi A.; Le api-biologia, allevamento, prodotti; Edagricole; 2012.
[4] Giovenazzo P., Dubreuil P.; Evaluation of spring organic treatments against Varroa destructor (Acari: Varroidae) in honey bee Apis mellifera (Hymenoptera: Apidae) colonies in eastern Canada;  Exp Appl Acarol) 55, 65–76; 2011.
[5] Lee K. V., Reuter G. S., Spivak M.; Standardized Sampling Plan to Detect Varroa Density in Colonies and Apiaries; American Bee Journal; 12, 1151–1155; 2010.