Qual è l’iter che devono seguire le aziende apistiche per potersi fregiare della prestigiosa fogliolina verde. Vediamo alcune utili indicazioni

di Marco D’Imperio

 Da un’analisi dei dati pubblicati nell’ultimo Rapporto Bio Bank 2017 emerge chiaramente che il settore del biologico continua a crescere a ritmi vertiginosi e a generare profitti. Il dato più eclatante riguarda la penetrazione che i prodotti biologici hanno avuto nel settore della grande distribuzione (GDO). Se fino a poco tempo fa la vendita dei prodotti biologici era demandata quasi esclusivamente ai negozi specializzati, nel 2016 la grande distribuzione ha effettuato il sorpasso con 1.191 milioni di euro di fatturato per i prodotti biologici contro i 892 milioni di euro di fatturato dei negozi specializzati.
Ma questo cosa significa? Significa che i prodotti biologici escono dalla nicchia diventano alla portata di tutti. Oggi, molte grandi catene di supermercati hanno linee di prodotti bio attraverso le quali propongono prodotti che prima sembravano inaccessibili al consumatore medio. Le regioni con il maggior numero di negozi bio sono la Lombardia, il Veneto e il Piemonte mentre tra le provincie primeggiano Roma, Milano, Torino, Bolzano e Vicenza.

Dunque un mercato fiorente che invoglia sempre più aziende alla conversione verso forme di gestione biologiche. Molte lo fanno per scelta etica, sociale e ambientale; altre lo fanno semplicemente per diversificare l’offerta.

Ed in questo panorama come si colloca il mercato del miele biologico? Sembrerebbe che la quota di mercato attribuibile al miele biologico oscilli tra il 3 ed il 6% mentre negli altri settori alimentari tali valori oscillino tra l’1 ed il 2%. Anche il prezzo del miele biologico è mediamente più alto del 10-30% e ciò, al netto delle maggiori spese di gestione, porta comunque a ottenere introiti migliori.

Detto ciò vediamo qual è l’iter che devono seguire le aziende apistiche per potersi fregiare della prestigiosa fogliolina verde.

Innanzitutto è bene precisare che NON si nasce biologici ma ci si diventa attraverso quello che si chiama periodo di conversione che è di almeno un anno. Non fa differenza se siete un’azienda già strutturata o se siete nascenti. Il periodo di conversione si intende concluso quando tutta la cera dei favi del nido è stata sostituita con cera biologica. In ogni caso la sostituzione deve avvenire in un periodo non superiore ai 3 anni e, possibilmente, nel primo anno, la sostituzione della cera per ogni alveare deve coinvolgere il 50% dei favi del nido.

Quali sono i primi passi da compiere? Innanzitutto ci si deve affidare ad un organismo certificatore. Ve ne sono numerosi anche se pochi hanno esperti per il settore dell’apicoltura. L’organismo certificatore ha il compito di indirizzarvi nell’iter della certificazione e di eseguire i controlli dovuti (cera. miele, ecc.). In genere forniscono un registro nel quale annotare i trattamenti, le giacenze in magazzino e le vendite ai fini della tracciabilità. La parcella annuale dell’organismo certificatore può variare a seconda dell’organismo a cui ci si affida: c’è chi si fa pagare in base al numero di apiari, chi in base al numero di alveari e chi usa altri criteri.

Va adeguato il fascicolo aziendale (rivolgersi ai centri di assistenza agricola delle associazioni di categoria) nel quale va riportato qual è l’ente certificatore che segue l’iter e quali parti dell’azienda sono in conduzione biologica.
È dunque possibile avere in gestione biologica i seminativi o gli uliveti e non le api o viceversa. In entrambi i casi si acquisisce il punteggio specifico per il BIO utile, ad esempio, nel caso di presentazione di un PSR. Se si hanno anche dei terreni in conduzione biologica, va redatto, ad opera dei CAF, il Piano Annuale di Produzione anche detto PAP.

Per quanto riguarda la parte di conduzione degli alveari ci sono degli  accorgimenti da prendere:

  • Per il trattamento contro varroa NON è consentito l’uso dei presidi
    cosiddetti chimici quali Apivar, Apitraz ed Apistan mentre è consentito
    l’uso dei prodotti a base di acido formico (MAQS, Varterminator e
    ApiFor60), quelli a base di timolo (Apiguard, Apilife Var e Thymova),
    quelli a base di acido ossalico (ApiBioxal). Inoltre, all’occorrenza,
    possono essere messi in atto trattamenti biomeccanici quali
    l’asportazione di covata per la messa a sciami e/o l’asportazione di
    covata maschile mediante il telaio trappola e/o il blocco di covata
    mediante l’ingabbiamento della regina.
  • È consentito l’uso della sola cera certificata bio. Nel periodo di conversione vi sono delle deroghe rispetto all’uso della cera biologica: 1) se si dimostra con opportune analisi che la cera NON certificata biologica è priva di residui e sostanze non consentite in apicoltura biologica; 2) se la cera biologica non è disponibile in commercio e ciò viene attestato da apposite dichiarazioni delle ditte produttrici.
  • Gli alveari ed i portasciami devono essere assemblati e manutenuti con materiali naturali (es vernici atossiche ad acqua) in modo da scongiurare eventuali contaminazioni del miele e degli altri prodotti dell’alveare. È vietato l’impiego di vernice all’interno delle arnie.
  • L’alimentazione di soccorso deve essere ridotta al minimo e va effettuata con zucchero, candito, polline o sciroppi che a loro volta devono essere certificati biologici. Nel registro degli apiari vanno registrate tutte le informazioni relative all’alimentazione (tipo di prodotto, date, quantità e arnie interessate). La nutrizione artificiale è autorizzata soltanto tra l’ultimo raccolto di miele e 15 giorni prima dell’inizio del successivo flusso nettarifero (immagazzinamento del miele nei melari).
  • Le regine e gli sciami acquistati devono provenire da aziende biologiche certificate. È consentito acquistare regine e sciami da aziende non biologiche fino ad un massimo del 10% a condizione che siano collocati in alveari con favi o fogli cerei provenienti da unità di produzione biologica. È vietata la spuntatura delle ali delle api regine.

Su un apposito registro dei trattamenti vanno registrati: la posologia, le modalità di somministrazione, il tipo di prodotto somministrato, la durata del trattamento, il periodo di sospensione. Il registro deve inoltre riportare l’ubicazione degli apiari.

Tutti gli apiari devono essere collocati all’interno di zone in cui si pratica l’agricoltura biologica o interessate da una flora essenzialmente spontanea; in alternativa, gli apiari possono essere collocati in zone in cui vi sono coltivazioni a basso impatto ambientale o in generale in zone in cui NON si pratica un’agricoltura intensiva.
Nelle stesse aree di bottinamento non devono essere collocati “hot spot” ambientali ovvero potenziali fonti inquinanti quali strade ad alta percorrenza, inceneritori, discariche, ecc. In riferimento agli inceneritori e alle discariche va tuttavia precisato che la distanza degli apiari non deve essere mai inferiore a 1 km.
In linea di massima il raggio entro il quale devono essere rispettati tali requisiti deve essere di 3 km attorno all’apiario. Tuttavia, in presenza di eventuali barriere fisiche (ad esempio crinali, ecc.), possono essere concesse deroghe rispetto i 3 km di raggio.
I requisiti appena esposti non si applicano alle aree che NON sono in periodo di fioritura o quando gli alveari sono inoperosi. Gli stati membri o le regioni possono designare zone in cui NON è possibile praticare un’apicoltura biologica.
Se vi sono spostamenti temporanei effettuati verso zone non conformi ai requisiti del biologico, entro 10 giorni va avvisato l’organismo di controllo. In tal caso gli alveari mantengono la condizione di alveari condotti secondo il metodo dell’apicoltura biologica ma il prodotto da essi derivato non può essere venduto con riferimento al metodo di produzione biologica.
L’apicoltore è tenuto a fornire all’autorità competente e all’organismo di controllo un inventario cartografico su scala adeguata delle zone in cui sono collocati gli apiari.

Il laboratorio di smielatura deve essere utilizzato solo per similare miele biologico. Se viene utilizzato per smielare anche miele non biologico allora entra in produzione secondaria e dunque necessita dell’HACCP. Il passaggio dalla lavorazione di prodotti biologici alla lavorazione di prodotti non biologici va accuratamente preceduto da procedure di lavaggio delle attrezzature opportunamente riportate nel manuale di buona prassi. L’asportazione dei melari e le operazioni di smielatura devono essere registrate su appositi registri ai fini della tracciabilità. In linea di massima ci si può appoggiare anche ad un laboratorio conto terzi il quale va a sua volta in produzione secondaria e dunque deve rispettare quanto già detto. In ogni caso il laboratorio di smielatura va caricato sul fascicolo aziendale.

Le etichette dei prodotti biologici devono essere visionate ed autorizzate dall’ente certificatore. Devono inoltre riportare sempre il simbolo dell’apicoltura biologica (la fogliolina verde), il nome dell’organismo certificatore con il codice di autorizzazione del MiPAAF.

L’ente certificatore può disporre analisi dei prodotti (miele, pappa, ecc.) e delle matrici (es. cera) in base al proprio regolamento interno. Tali analisi sono volte ad accertare l’assenza di prodotti o molecole non autorizzate in apicoltura biologica.

Nel caso di partecipazione alle misure per il biologico del PSR 2014-2020 (es. misura 11.1.1- Sostegno alla conversione verso le pratiche e metodi di produzione biologica) va prodotta una relazione ai sensi dell’art. 63 reg CE 889/08 e art. 14 reg CE 834/07.

Riferimenti normativi

  • Regolamento (CE) n. 834/2007, relativo alla produzione biologica e
    all’etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento
    (CEE) n. 2092/91.
  • Regolamento CE n. 889/2008, recante modalità di applicazione del
    regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio relativo alla produzione
    biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici, per quanto
    riguarda la produzione biologica, l’etichettatura e i controlli.
  • DM 18354 del 27/11/2009