Il recente studio pubblicato su Ecology and Evolution dimostra che, se le api hanno a disposizione una maggiore varietà di fonti nettarifere, avranno maggiori possibilità di sviluppare una resistenza alle infezioni batteriche responsabili della peste americana ed europea

Tratto da “Diversity of honey stores and their impact on pathogenic bacteria of the honeybee, Apis mellifera”; S. Erler et al.;  Ecology and Evolution 2014

di Marco D’Imperio (tecnico AP.AS.)

Fra i principali problemi dell’apicoltura moderna vi è senza dubbio quello della peste americana e della peste europea le quali sono responsabili di ingenti perdite. Tali patologie sono attribuibili ad alcuni ceppi batterici che, a causa delle loro microscopiche dimensioni, non sono individuabili dall’apicoltore che spesso, non capendo il reale motivo del collasso, attribuisce erroneamente la causa ad altre patologie, prima fra tutte la varroa.

Il recente studio pubblicato su Ecology and Evolution da Erler et al. dimostra che, se le api hanno a disposizione una maggiore varietà di fonti nettarifere, avranno maggiori possibilità di sviluppare una resistenza alle infezioni batteriche responsabili della peste americana ed europea.

Lo studio parte dal presupposto che il miele, di base,  ha un effetto batteriostatico/battericida a causa dell’alta concertazione in zuccheri (>80%) che quindi, per effetto del fenomeno dell’osmosi, sottrae acqua (disidratazione) dalle cellule batteriche ed in tal modo ne inibisce la crescita o le uccide. Tuttavia queste sono le condizioni che si rinvengono nel miele stivato nelle cellette del favo. Quando il miele viene prelevato dalle nutrici e somministrato alle larve viene diluito con la saliva ed in tal modo la concentrazione zuccherina scende a valori che vanno dal 5 al 13%. Se quindi i batteri sono stati solo inibiti possono riprendere la loro attività con queste nuove condizioni. Ecco quindi che la sola concertazione zuccherina non può spiegare l’effetto batteriostatico/battericida del miele. In effetti il miele contiene piccole percentuali di numerosi altri elementi (polifenoli, flavonoidi, acidi, terpeni, etc.) responsabili del caratteristico aroma e gusto dei vari mieli. Alcuni sono più ricchi di fenoli, altri di acidi, altri ancora sono più ricchi in flavonoidi. Sarebbero proprio le differenze in tali composti a spiegare la differente capacità batteriostatica/battericida dei diversi mieli.

I ricercatori hanno testato la differente capacità di inibire la crescita dei batteri responsabili della peste americana e della peste europea ed hanno scoperto che, ad esempio, il miele di acacia è in grado di inibire maggiormente i ceppi batterici responsabili della peste europea mentre il miele di girasole sembra essere più efficace con i batteri della peste americana. Si è invece mostrato molto efficace per entrambi i ceppi un miele poliflorale (millefiori) il quale, oltre a contenere una quantità doppia di polifenoli, aveva un più variegato profilo di composti minori.

Sembra, inoltre, che le api mostrino la capacità di saper scegliere di volta in volta sia dalle fonti nettarifere sia dal miele stivato nei favi la “medicina giusta” da fornire alle larve in funzione dell’infezione in atto.

Alla luce di quanto detto è bene che gli apicoltori tengano a mente che la produzione di miele uniflorale può avere implicazioni negative sulla salute degli alveari. Analogamente, la somministrazione di zucchero durante l’inverno in luogo del miele sottratto alla famiglia, contribuisce ad abbassare le difese immunitarie delle api e quindi le espone ad un rischio maggiore di infezione.

In conclusione, per migliorare la salute degli alveari, sarebbe opportuno selezionare postazioni che consentano alle api di avere a disposizione, durante la stagione, una maggiore quantità di fonti nettarifere. Va ricordato, a tal proposito, che una più variegata disponibilità di nettare si traduce anche in una maggiore variabilità di fonti pollinifere ed anche in questo caso le api ne beneficiano.