Il mistero delle api invernali
di Martina Trapanese

Vi siete mai chiesti come mai le api invernali riescono a vivere così a lungo mentre quelle estive hanno un’aspettativa di vita decisamente più breve? Proviamo a dare qualche spiegazione con l’articolo che segue.

L’ape mellifera occidentale, Apis mellifera, deve adattarsi alle forti variazioni climatiche e alla disponibilità di risorse nettarifere. Uno degli adattamenti principiali selezionato dall’evoluzione è proprio quello di utilizzare due tipologie di api: quelle estive e quelle invernali. Un po’ come il letargo per gli orsi!

Prima di andare ad esaminare le differenze che contraddistinguono queste due tipologie di api, analizziamo alcuni fattori che influenzano la loro aspettativa di vita: fra questi vi è certamente il ruolo (compito) che le api hanno all’interno della famiglia, ruolo che, come tutti sanno, cambia con il passare dei giorni.

Una prima parte della vita delle api si svolge dunque all’interno dell’alveare ed in queste fasi i processi di invecchiamento (senescenza) sono constanti ma lenti. Dopo circa 21 giorni, l’ape comincia la sua attività di bottinamento al di fuori dell’alveare ed il faticoso lavoro di raccolta di polline, nettare, acqua e propoli si accompagna ad un rapido invecchiamento ovvero ad un repentino logorio dei suoi apparati che la porteranno alla morte dopo circa 40 giorni dalla sua nascita.

Va tuttavia detto che i ruoli che l’ape assume all’interno dell’alveare sono facilmente interscambiabili; le bottinatrici possono tornare ad essere nutrici e viceversa. Mentre però la prima procedura aumenta la durata della vita, la
seconda la riduce.

Le api estive e le api inverali
Visto le aspettative di vita delle api estive, riesce difficile comprendere come facciano le stesse api a sopravvivere così a lungo (fino a sei mesi) in inverno.

Le operaie estive vengono generalmente allevate, a seconda della situazione ambientale, da marzo a luglio (nell’emisfero settentrionale); le api invernali sono invece quelle che nascono dalla fine del periodo di foraggiamento (da agosto/settembre) fino alla fine di ottobre, quando generalmente cala drasticamente l’allevamento della covata.

Le api invernali avranno il compito di termoregolare la temperatura dell’alveare ed accudire e proteggere la regina fino all’inizio del successivo periodo di foraggiamento (inizio primavera).

A partire da febbraio, iniziano a mostrare una divisione del lavoro, simile alle api estive, per allevare la nuova generazione di api operaie. Le api invernali, dunque, rappresentano una forma di vita unica, in quanto le loro proprietà fisiologiche assomigliano molto a quelle delle giovani api estive ma la loro età ed esperienza sono estremamente diverse. Dal punto di vista fisionomico/fisiologico, le api invernali hanno delle ghiandole ipofaringee ben sviluppate e ipertrofiche, corpi grassi ingrossati, bassi livelli dell’ormone giovanile (JH) e concentrazioni elevate di vitellogenina (Vg).

 

 

La vitellogenina e l’ormone giovanile
Le interazioni tra vitellogenina e ormone giovanile regolano importanti processi fisiologici nelle api adulte, inclusa la riproduzione, la divisione del lavoro e la longevità.

Vg è una proteina espressa nei corpi adiposi che si accumula nelle api nutrici, perché normalmente è necessaria per la produzione di pappa reale per la covata.
JH, uno dei principali ormoni degli insetti, sintetizzato nel corpus allatum (una ghiandola endocrina).

Nelle api operaie le correlazioni negative tra le quantità di Vg e JH sono associate al ruolo che svolgono all’interno dell’alveare. In condizioni tipiche, i livelli di Vg sono alti durante le prime 2 settimane di vita delle operaie, quando si
prendono cura della covata e sono bassi nelle bottinatrici più anziane. Le quantità JH seguono uno schema opposto. Sebbene la tempistica del passaggio da nutrice a bottinatrice dipenda da molteplici fattori, le quantità di Vg e JH sono in generale indicatori prevedibili degli stati fisiologici delle operaie associati allo sviluppo comportamentale. Anche le
differenze stagionali nei livelli di Vg e JH riflettono presumibilmente differenze fisiologiche tra le api estive e quelle
invernali. Mentre le quantità di JH sono state trovate costantemente più alte in estate, rispetto al tardo autunno-inverno, le quantità delle proteine ​​Vg sono state segnalate essere più alte nel tardo autunno e all’inizio dell’inverno e più basse alla fine dell’inverno.

Vediamo insieme cosa è stato scoperto in merito al passaggio delle api estive alle api invernali.
In uno studio del 2001, condotto da un gruppo di ricercatori canadesi, è stato indagato quanto influisce la “qualità” della regina sulla tempestività dell’allevamento delle api invernali. È stato osservato che in famiglie in cui non avvenivano sostituzioni di regina, le api invernali iniziavano ad essere allevate già a fine agosto, mostrando una proporzione costantemente crescente di api invernali ad ogni intervallo di 12 giorni. Questa graduale sostituzione delle api estive con le api invernali si è verificata anche nelle colonie in cui era stata inserita una nuova regina, ma il tutto è stato ritardato di alcuni giorni.

Inoltre nelle colonie in cui non c’è stata sostituzione di regina, l’allevamento della covata è terminato circa 10-20 gg prima rispetto alle altre colonie in cui c’è stata sostituzione.

I risultati di questo studio suggeriscono che lo sviluppo di una popolazione di api invernali non è stimolato solo da segnali ambientali associati all’inverno in un clima temperato, ma è anche influenzato da fattori interni alla colonia. La
“sostituzione di una regina” influenza la produzione di covata, in alcuni casi allungando i tempi di deposizione, perché le regine più giovani tendono a deporre per più tempo in autunno, in altri casi si verifica un’interruzione della covata legata al requeening (la sostituzione della regina).

È ormai noto che la mortalità delle operaie è correlata alla quantità di covata allevata in quanto la durata della
vita è fortemente influenzata dall’intensità con cui le operaie svolgono i loro due compiti principali: nutrire la covata e foraggiare. Pertanto la mortalità delle operaie diminuisce (quindi la longevità aumenta) quando, in autunno, la produzione di covata si riduce.

Non è noto però se tutte le api invernali, indipendentemente dall’età, abbiano le stesse probabilità di allevare la covata
in primavera o se le prime api invernali prodotte in autunno inizino la cura della covata e/o il foraggiamento prima. Dallo studio sembra che tutte le api invernali muoiano all’incirca nello stesso periodo, indipendentemente dal
momento della nascita.

Altra considerazione da fare circa la presenza di api invernali in una colonia, è che, diminuendo in autunno i tassi di natalità, la percentuale di api più anziane è maggiore. Ciò potrebbe avviare proprio la comparsa delle api invernali in quanto è stato osservato che la presenza di api più anziane può influenzare lo svolgersi delle attività delle api più giovani. Se invece l’allevamento della covata continua più a lungo, i tassi di natalità non rallentano e di conseguenza ci vuole più tempo per raggiungere una percentuale critica di api anziane tali da indurre un cambiamento nella fisiologia delle api invernali.

Si può supporre che il microclima associato a grandi quantità di covata, cioè temperatura di 35°C e aumento dei livelli di CO2, causi un aumento costante delle quantità di JH, come si è visto nelle giovani api estive. Se le operaie non sono esposte a questo microclima, le quantità di JH non aumentano e di conseguenza si ha una maggior presenza di api invernali.

Invece in uno studio del 2010 alcuni ricercatori tedeschi hanno voluto verificare se ci sono differenze cognitive tra le api estive e quelle invernali. Quello che è emerso è che non ci sono differenze, o meglio è stato constatato che un’età cronologica elevata non porta necessariamente a un grave declino delle funzioni cognitive come l’acquisizione associativa, la discriminazione o la memoria. Sebbene estremamente vecchie, le api invernali mostravano una normale acquisizione e discriminazione olfattiva e tattile, mentre una memoria olfattiva a lungo termine leggermente compromessa.

Le eccellenti prestazioni di apprendimento e di memoria delle api invernali suggeriscono che il loro cervello non sviluppa segni di senescenza cognitiva come fanno le operaie attive nel periodo estivo. Queste ultime mostrano tipicamente una riduzione dell’acquisizione dell’apprendimento tattile e olfattivo dopo il foraggiamento per più di due settimane.

Nelle api mellifere l’età cronologica non influenza le funzioni cognitive, ma piuttosto è la loro funzione all’interno dell’alveare che determina la velocità con cui mostrano segni di senescenza.

Tuttavia, non è ancora chiaro quali sono i meccanismi attraverso cui le api invernali sono protette dalla senescenza cognitiva. Secondo l’ipotesi dello stress ossidativo di Harman (1956), il danno ossidativo cumulativo causa l’invecchiamento e una riduzione della durata della vita, mentre la protezione dal danno ossidativo aumenta la durata della vita. Si può allora ipotizzare o che le api invernali hanno minori quantità di radicali liberi (molecole che causano danni) rispetto alle api estive, oppure, sono in grado di eliminare i radicali liberi e riparare con più efficacia il danno da loro causato.

La vitellogenina, prodotta nelle api invernali in simili quantità delle api nutrici, potrebbe proteggere le prime dal danno ossidativo nel cervello. La vitellogenina è infatti un potente antiossidante.

Nel 2015, uno studio condotto da un gruppo di ricercatori svizzeri, ha esaminato la frequente problematica che si
verifica in moltissimi alveari, ovvero la moria delle api in inverno. A tal proposito sono state indagate le differenze nel sistema immunitario tra le api estive e quelle invernali, in quanto è stato ipotizzato che una maggiore incidenza di perdite di colonie durante l’inverno sia associabile proprio ad una ridotta funzione immunitaria. Per testare questa ipotesi, è stata misurata l’espressione dei geni immunitari coinvolti nelle risposte immunitarie sia umorali che cellulari nelle api operaie ed è stato anche verificato se potenziali cambiamenti stagionali possono influenzare l’espressione dei geni immunitari. Il patogeno, contro cui valutare la risposta immunitaria, è stato il virus delle ali deformi (DWV), un eccellente modello di infezione naturale onnipresente nelle colonie di A. mellifera.

Da questo studio è emerso che le operaie estive e invernali hanno sviluppato una fisiologia diversa per far fronte alle differenti condizioni ambientali. In inverno sono poco espressi i geni coinvolti nella risposta immunitaria cellulare, mentre sono regolarmente espressi quelli correlati alla risposta umorale per infezioni batteriche.
Questo modello di espressione suggerisce che l’infezione batterica, conseguente alla parassitosi indotta da V.destructor, può essere un fattore che promuove la replicazione di DWV.

I risultati sono quindi coerenti con l’ipotesi che una bassa espressione dei geni coinvolti nel sistema immunitario e nell’attività fisiologica, in condizioni invernali avverse, può essere una strategia per risparmiare energia e aumentare la sopravvivenza durante lo svernamento anche se a scapito di un maggior rischio di infezione da virus.

Ancora una volta si rimane sbigottiti di fronte alla complessità di un alveare. Le api riescono sempre a sorprenderci per l’eccezionale funzionalità e capacità di adattamento ad un ambiente che cambia sempre più velocemente.

Bibliografia

  1. Mattila H.R. et al. (2001). Timing of  production of winter bees in honey bee (Apis mellifera) colonies. Insectes soc. 48: 88-93.
  2. Behrends A. & Scheiner R. (2010). Learning at old age: a study on winter bees. Frontiers in Behavioral Neuorscience, 4 (15).
  3. Steinmann N. et al. (2015). Overwintering Is Associated with Reduced Expression of Immune Genes and Higher Susceptibility to Virus Infection in Honey Bee. PLoS ONE 10 (6)