Le moderne tecniche apistiche non subiscono solo gli effetti della varroa ma ne sono anche la causa!

di Alfonso Cicalese

L’industria del miele continua a registrare significative perdite di alveari e, fra i principali colpevoli, la varroa si inserisce a pieno titolo. Ma allo stesso tempo si scopre che le moderne tecniche apistiche non subiscono solo gli effetti della varroa ma ne sono anche la causa!

In un articolo pubblicato su Environmental Entomology, i ricercatori sostengono che la varroa ha “usato” parecchi comportamenti delle api a suo vantaggio, permettendogli così di diffondersi nonostante la sua scarsa mobilità: in “groppa” alle api la varroa può effettuare diversi spostamenti e l’alta densità di apiari le permette di avere un numero elevato di “aree di accampamento”. Se gli apiari fossero più distanti fra di loro, la probabilità che la varroa non sopravvia ai lunghi viaggi o si stacchi per effetto della resistenza all’aria sarebbe maggiore e quindi il livello di infestazione medio dell’area sarebbe più basso. Dunque, le abilità dell’acaro unite alle pratiche apistiche costituiscono una combinazione mortale per l’apicoltura moderna.

“Gli apicoltori devono ripensare ai metodi di controllo della varroa e trattare la varroa come una peste migratoria”, afferma Gloria De Grandi-Hoffman, capo ricercatrice e coordinatrice presso l’U.S. Department of Agriculture-Agricultural Research Service’s Carl Hayden Bee Research Center di Tucson, Arizona, e principale autrice della ricerca.

In natura le colonie d’api tendono a sopravvivere nonostante le infestazioni di varroa e le colonie si trovano di solito abbastanza lontane da impedire agli acari di migrare fra di esse. Le colonie d’api selvatiche sono abituate a sciamare periodicamente e questo meccanismo serve anche ad abbassare il livello di infestazione da varroa e, di riflesso, le patologie associate. Dunque la sciamatura è un degli strumenti attraverso i quali le api tendono a contenere il livello di infestazione. Nella gestione apistica, tuttavia, questa dinamica viene azzerata perché si cerca di contenere a tutti i costi la sciamatura.

Il team di ricercatori ha condotto uno studio durato 11 mesi, su 120 alveari di un’azienda apistica professionale, comparando alveari trattati con acaricidi in primavera e autunno con alcuni trattati solo in autunno. Non è stata riscontrata nessuna differenza significativa: più della metà degli alveari sono andati persi in entrambi i casi presi in esame. Quello che sicuramente è stato riscontrato negli ultimi anni, sia dagli apicoltori che dai ricercatori, è che la popolazione di varroa continua a crescere anche dopo ripetuti trattamenti con acaricidi specifici. Perché? La risposta la si può ricercare nei suoi meccanismi di diffusione.

I ricercatori hanno inoltre condotto altre sperimentazioni sulle dinamiche di sviluppo della popolazione di varroa per esaminare gli effetti sugli alveari sia della sciamatura che della migrazione dell’acaro attraverso le bottinatrici. È emerso che il saccheggio latente o la deriva fanno sì che la popolazione di varroa aumenti mediamente in tutti gli alveari. Analogamente, impedire la sciamatura è uno degli altri fattori che conduce ad un aumento medio dell’infestazione da varroa.

In natura, il collasso di un alveare è contro l’interesse della varroa stessa: se la colonia muore, gli acari muoiono con essa. Mentre sono proprio i meccanismi dell’apicoltura da reddito a fare in modo che le crescenti infestazioni di una colonia attivino i meccanismi di diffusione della varroa stessa. Perché? Perché gli alveari deboli sono a rischio saccheggio da parte degli alveari forti e dunque la varroa può saltare da un alveare all’altro.

Tutto questo chiaramente si aggiunge ad un già critico momento per l’apicoltura da reddito. I ricercatori affermano che vi è la necessità di pensare a nuove strategie di lotta integrata per la gestione della varroa la quale, ribadiscono, va trattata come una “peste migratoria”.